Giorni difficili per il giovane Urgyen Trinley Dorje, 17° Karmapa, detentore del principale lignaggio dell’importante scuola buddista Karma-Kagyu e oggi al centro di un vero e proprio intrigo himalayano che pare uscito dalla penna di romanzieri quali Le Carré o Forsyth. Il 27 gennaio nel monastero di Gyuto (nello stato indiano dell’Himachal Pradesh dove Urgyen Trinley vive dal 2000) un’investigazione congiunta della polizia locale e dei sevizi segreti di Nuova Delhi, ha portato alla scoperta di una somma enorme di denaro non dichiarato. Si parla dell’equivalente di oltre 60 milioni di rupie (circa 950.000 euro) in diverse valute tra cui anche lo yuan cinese. Il tesoriere del giovane lama e due uomini d’affari indiani sono stati arrestati e lui stesso è stato sottoposto a un interrogatorio che ha lasciato piuttosto insoddisfatte le autorità di polizia che non hanno evidentemente creduto alle parole del lama il quale respinge ogni addebito. Ma l’importanza della vicenda non risiede tanto nell’incidente valutario quanto nel fatto che per la prima la stampa scrive apertamente che settori consistenti dell’intelligence indiana ritengono il 17° Karmapa una pedina di Pechino.
Urgyen Trinley, nato nel 1985 nel Tibet orientale, è stato il primo lama reincarnato a venire riconosciuto dal governo cinese che nel 1992 acconsentì al suo insediamento nel monastero di Tsurphu (Tibet centrale). Però a fine dicembre 1999, il Karmapa decise di fuggire dal Tibet e rifugiarsi in India dove arrivò ai primi di gennaio 2000, dopo un avventuroso viaggio al limite delle possibilità umane. Recatosi immediatamente dal Dalai Lama, il 17° Karmapa venne immediatamente ricevuto dal leader tibetano che lo accolse e gli diede ospitalità nel monastero di Gyuto. La notizia della fuga di questo lama apparve al mondo un grave scacco per il governo cinese. Unici a rimanere scettici furono però gli 007 indiani ai quali una fuga così rocambolesca di un gruppo di adolescenti (il Karmapa era scappato in compagnia della sorella e un piccolo gruppo di giovani amici) in grado di superare sia il controllo cinese sia un territorio così ostile non era parsa chiara. In tutti questi dieci anni si era sempre mormorato che i servizi segreti di Delhi tenessero d’occhio il Karmapa (che, tra l’altro, è contestato da alcuni alti esponenti della sua stessa scuola che hanno riconosciuto come 17° Karmapa un altro giovane tibetano, Trinley Thaye Dorje). Adesso, proprio nel momento in cui la tensione tra India e Cina è al culmine degli ultimi 30, arriva questo complicato affaire.
Situazione imbarazzante anche per il Dalai Lama che in una dichiarazione rilasciata ieri ha auspicato di svolgere indagini più approfondite prima di giungere a conclusioni affrettate sottolineando inoltre che il Karmapa ha molti discepoli cinesi cosa che potrebbe spiegare la presenza dell’ingente somma in yuan ritrovata nel monastero. Meno diplomatica la reazione di numerose organizzazioni tibetane dell’esilio che parlano di grossolano equivoco e in alcuni casi ventilano addirittura la possibilità di trovarsi di fronte a un complotto ai danni del Karmapa. Pechino, da parte sua, ha ovviamente rilasciato una dura smentita. “Le speculazioni che il Karmapa possa essere una spia cinese sono assurde e mostrano solo l’attitudine sospettosa dell’India,” ha detto Xu Zhitao, un membro del Comitato Centrale del P. C. C.
A questo punto delle indagini è impossibile dire qualcosa di definitivo. L’unico elemento certo è che se dopo aver creato ad arte un “suo” Panchen Lama (seconda autorità spirituale del Tibet), Pechino fosse anche in grado di manovrare le mosse del 17° Karmapa in India, le cose si potrebbero mettere male non solo per i tibetani ma anche per Nuova Delhi. Infatti il Karmapa ha molti seguaci in tutta la fascia himalayana che segna il confine tra Cina e India: dal Ladak allo stato dell’Arunachal Pradesh passando per il Sikkim. Una zona dove si trovano migliaia e migliaia di chilometri quadrati di territori oggetto di decennali dispute (e una guerra nel 1962) tra Pechino e Nuova Delhi. L’idea di una presenza in queste aree di centri religiosi che fanno riferimento a un leader spirituale controllato da Pechino è un fantasma che da tempo turba i sonni degli 007 indiani. Il ritrovamento di una somma di denaro illegale così ingente nel monastero del 17° Karmapa sembra aver dato a quel fantasma una consistenza terrena.
Piero Verni
Urgyen Trinley, nato nel 1985 nel Tibet orientale, è stato il primo lama reincarnato a venire riconosciuto dal governo cinese che nel 1992 acconsentì al suo insediamento nel monastero di Tsurphu (Tibet centrale). Però a fine dicembre 1999, il Karmapa decise di fuggire dal Tibet e rifugiarsi in India dove arrivò ai primi di gennaio 2000, dopo un avventuroso viaggio al limite delle possibilità umane. Recatosi immediatamente dal Dalai Lama, il 17° Karmapa venne immediatamente ricevuto dal leader tibetano che lo accolse e gli diede ospitalità nel monastero di Gyuto. La notizia della fuga di questo lama apparve al mondo un grave scacco per il governo cinese. Unici a rimanere scettici furono però gli 007 indiani ai quali una fuga così rocambolesca di un gruppo di adolescenti (il Karmapa era scappato in compagnia della sorella e un piccolo gruppo di giovani amici) in grado di superare sia il controllo cinese sia un territorio così ostile non era parsa chiara. In tutti questi dieci anni si era sempre mormorato che i servizi segreti di Delhi tenessero d’occhio il Karmapa (che, tra l’altro, è contestato da alcuni alti esponenti della sua stessa scuola che hanno riconosciuto come 17° Karmapa un altro giovane tibetano, Trinley Thaye Dorje). Adesso, proprio nel momento in cui la tensione tra India e Cina è al culmine degli ultimi 30, arriva questo complicato affaire.
Situazione imbarazzante anche per il Dalai Lama che in una dichiarazione rilasciata ieri ha auspicato di svolgere indagini più approfondite prima di giungere a conclusioni affrettate sottolineando inoltre che il Karmapa ha molti discepoli cinesi cosa che potrebbe spiegare la presenza dell’ingente somma in yuan ritrovata nel monastero. Meno diplomatica la reazione di numerose organizzazioni tibetane dell’esilio che parlano di grossolano equivoco e in alcuni casi ventilano addirittura la possibilità di trovarsi di fronte a un complotto ai danni del Karmapa. Pechino, da parte sua, ha ovviamente rilasciato una dura smentita. “Le speculazioni che il Karmapa possa essere una spia cinese sono assurde e mostrano solo l’attitudine sospettosa dell’India,” ha detto Xu Zhitao, un membro del Comitato Centrale del P. C. C.
A questo punto delle indagini è impossibile dire qualcosa di definitivo. L’unico elemento certo è che se dopo aver creato ad arte un “suo” Panchen Lama (seconda autorità spirituale del Tibet), Pechino fosse anche in grado di manovrare le mosse del 17° Karmapa in India, le cose si potrebbero mettere male non solo per i tibetani ma anche per Nuova Delhi. Infatti il Karmapa ha molti seguaci in tutta la fascia himalayana che segna il confine tra Cina e India: dal Ladak allo stato dell’Arunachal Pradesh passando per il Sikkim. Una zona dove si trovano migliaia e migliaia di chilometri quadrati di territori oggetto di decennali dispute (e una guerra nel 1962) tra Pechino e Nuova Delhi. L’idea di una presenza in queste aree di centri religiosi che fanno riferimento a un leader spirituale controllato da Pechino è un fantasma che da tempo turba i sonni degli 007 indiani. Il ritrovamento di una somma di denaro illegale così ingente nel monastero del 17° Karmapa sembra aver dato a quel fantasma una consistenza terrena.
Piero Verni
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