sabato 7 agosto 2010

Ladakh, si aggrava la situazione

In Ladakh, sono oltre 600 i dispersi nella Valle di Leh, colpita ieri da un'ondata di maltempo, dove centinaia di case sono crollate o investite dal fango a cause delle piogge. Oltre cento i morti accertati, ma il bilancio potrebbe aggravarsi. Fra le vittime e i feriti per ora non risultano stranieri. Un ottantina i turisti elvetici bloccati nel paese hymalaiano. Da oggi l'aeroporto è tornato agibile e i primi aerei dell'aviazione militare con aiuti di emergenza, come tende, generatori e ospedali da campo. I collegamenti delle compagnie aeree private verso Nuova Delhi dovrebbero riprendere domani.

venerdì 6 agosto 2010

Niente da fare, il Nepal ancora senza premier

Per la quarta volta il Parlamento nepalese non è riuscito a eleggere un primo ministro. A un mese e mezzo dalla caduta del governo di Madhav Kumar Nepal, la repubblica è ancora in un limbo politico che sembra difficilmente superabile dato il profondo disaccordo tra le principali forze politiche.

Nella votazione svoltasi nel pomeriggio, nessuno dei due candidati in lizza, l'ex capo ribelle e ex premier Prachanda e il conservatore Ram Chandra Poudel, ha ottenuto la maggioranza dei 601 voti espressi dall'assemblea legislativa provvisoria di Kathmandu. I voti a favore di Prachanda sono stati 213, mentre al rivale del Congresso nepalese ne sono andati 99.

Ancora una volta, come nelle precedenti settimane, lo stallo è stato causato dall'astensione in blocco del partito comunista (terza forza politica) e dei partiti minori che rappresentano l'etnia "madhesi" della pianura meridionale dell'ex regno himalayano. La prossima votazione è stata fissata per il 18 agosto.

Oltre 100 i morti a Leh

In Ladakh è salito a 115 il numero dei morti in seguito alle inondazioni che hanno colpito la capitale Leh. Fra loro figurano anche 4 poliziotti uccisi durante le operazioni di soccorso del centro storico. 350 persone hanno riportato ferite a causa delle frane e del crollo di edifici, diverse migliaia i senzatetto. 6mila soldati sono stati dispiegati nel paese himalayano e per ora sono state messe a disposizione 2mila tende.

Prime immagini da Leh

Nel link i primi telegiornali indiani con le immagini di Leh.

http://www.youtube.com/watch?v=gYmM90uB5dk

Ladakh: morti per alluvione





Almeno 60 persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite per le inondanzioni seguite alle forti piogge che nelle ultime ore si sono abbattute su alcune zone dello stato indiano del Jammu e Kashmir. E' quanto riferiscono i media indiani, precisando che Leh, principale citta' della regione del Ladakh, e' isolata.
A causa delle inondazioni, che hanno colpito Leh e i villaggi circostanti, popolari mete turistiche, molti edifici sono crollati e le linee elettriche sono interrotte. Sono stati gravemente danneggiati anche una struttura usata dalle forze paramilitari indiane e un ospedale. Il timore e' che nelle prossime ore il bilancio delle vittime possa salire perche' sono decine le persone disperse. Alcune zone, tra l'altro, sono inaccessibili anche per i soccorritori, tra i quali, secondo 'Ndtv', vi sono seimila soldati.
Agosto e' il mese preferito dai turisti che si avventurano nel Ladakh, regione montuosa nel sudest del Kashmir, vicino al confine con la Cina. Al momento non sembra vi siano vittime tra i vacanzieri, mentre sono morti tre soldati indiani.

giovedì 5 agosto 2010

Contro i vicini cinesi, nemici storici, in Mongolia spuntano i neonazi

Pubblichiamo l'articola apparso sul Corriere della Sera di oggi dell'amico Federico Pistone

I mongoli non amano andare in bicicletta «perché ci vanno i cinesi». Al supermercato snobbano frutta e verdura provenienti da Pechino e preferiscono quelle coltivate in patria anche se costano un occhio e hanno il sapore che può avere un prodotto cresciuto in una terra glaciale. Insomma, i mongoli detestano i cinesi con tutto il cuore. Un odio ancestrale, storico, prima da dominatori (ai tempi di Gengis Khan) poi da sottomessi fino alla «liberazione» sovietica negli anni 20 del Novecento. Ma ora questo sentimento, anzi questo risentimento popolare sta degenerando a Ulaanbaatar, la capitale più fredda del mondo e anche la più tollerante, almeno fino a poco tempo fa. Cioè quando si è costituita un’organizzazione ultranazionalista che ha nello «statuto» la salvaguardia della purezza della razza mongola e che sta raccogliendo sempre più consensi.

«SVASTICA BIANCA» - A scanso di equivoci gli adepti hanno scelto come simbolo la croce uncinata e si sono chiamati Tsagaan Khass, svastica bianca. Le intenzioni sembrano perfino lodevoli: lotta alle ingiustizie sociali, alla corruzione e all’indifferenza politica, alla droga, alla prostituzione e al crimine in generale. Si definiscono antiviolenti e si autoproclamano «supporto alla polizia regolare». Ma i loro raduni mettono paura: giacche militari, magliette con svastica, capelli rasati e braccio teso alla nazista. «Adolf Hitler? Un uomo rispettabile – dice convinto “Grande fratello”, nome di battaglia del leader degli Tsagaan Khaas – perché il suo obiettivo era quello di preservare l’identità nazionale. Siamo contro la guerra ma andremo fino in fondo ai nostri diritti». «Dobbiamo essere sicuri che il sangue della nostra patria resti puro. Sarà fondamentale per la nostra indipendenza», aggiunge il 23enne Battur, un convinto apostolo della svastica bianca. «Dobbiamo evitare che gli stranieri, e soprattutto i cinesi, si uniscano alle nostre donne creando una razza nuova, diversa da quella pura generata da Gengis Khan».
«TURISTI BENVENUTI» - Una delle attività più frequenti dei nazi-mongoli è quella di irrompere in alberghi e ristoranti per verificare che non ci siano ragazze costrette a prostituirsi. Il vero timore dei mongoli, e non solo degli ultranazionalisti, è quello di finire fagocitati, non solo economicamente, dagli ingombranti vicini cinesi, con forze in campo di 3 milioni di abitanti contro un miliardo e mezzo. Anche per questo tranquillizzano i turisti stranieri, «che sono benvenuti e che sono nostri amici, se rispettano le regole e se non vengono dalla Cina», tengono a precisare quelli della Tsagaan Khass. Anche perché la svastica da queste parti ha un significato molto più morbido, essendo uno dei simboli sacri e benauguranti del Buddhismo presente ovunque, nei monasteri, sulle decorazioni e perfino sui sacchetti del supermercato.

Federico Pistone

Kathmandu: arrestato italiano

Stava rientrando in Italia con la valigia piena di ''cioccolata all'Hashish''. Per questo Daniele Felici, trentenne di Perugia, e' stato arrestato dalla polizia nepalese, che lo ha sorpreso con tre chili di Hashish nascosti in diverse confezioni di cioccolata. A riferirlo e' stato il vice ispettore generale della polizia, Ramesh Sekhar
Bajracharya, che sta conducendo l'inchiesta. L'italiano, che si trovava in Nepal, era arrivato ieri pomeriggio all'aeroporto di Kathmandu per imbarcarsi, viaBangkok, su un volo della compagnia Thai Airlines diretto a
Roma. Ma al controllo dei bagagli sono uscite fuori le tavolette all'Hashish. Ora dovra' rimanere in custodia cautelare per tre mesi in attesa di accertamenti, come ha precisato all'ANSA il vice sovraintendente della polizia Diwas Udas. Dopo averlo bloccato e interrogato, la polizia lo ha formalmente incriminato per contrabbando di stupefacenti. Il caso e' ora di competenza del tribunale distrettuale di Kathmandu che si pronuncera' tra tre mesi. L'ambasciata d'Italia a New Delhi, che e' territorialmente competente per il Nepal, ha confermato oggi l'avvenuto fermo giudiziario. Secondo una fonte diplomatica aggiungendo ''che la famiglia e' stata contattata e che l'italiano e' assistito dagli uffici del console onorario di Kathmandu''.

mercoledì 4 agosto 2010

Un veneziano in Mongolia

Un veneziano in Mongolia. Non è il titolo di un film di Vanzina, mala storia che Roberto Salvalaio, direttore d’orchestra «nostrano » e da poco direttore musicale del teatro dell’Opera di Ulaan Baatar, capitale della regione asiatica, ci racconta.

Diplomato a Venezia in Organo, Composizione e Direzione d’Orchestra, com’è arrivato ad avere un contratto triennale così lontano da casa? «Appena finito il conservatorio, ho voluto perfezionare i miei studi in Romania per seguire i corsi di Ovidiu Balan, maestro che ho stimato molto. Nel frattempo tenevo un piede in Italia, all’Accademia Chigiana, con Carlo Maria Giulini. La vita e i contatti però mi hanno portato a preferire la zona orientale del mondo, dal 2002 ho lavorato in Giappone, Cina, Corea, Filippine… Di solito sono gli orientali a venire in Italia, patria dell’opera».

Come mai il percorso inverso? «Voglio essere sincero e le dico che il terzo mondo, almeno per ciò che riguarda la musica, siamo noi. Vede, i paesi che non hanno l’opera come parte della loro cultura, la studiano e la valorizzano, noi no. È un fenomeno per me inspiegabile, che bisognerebbe analizzare».

Ulaan Baatar è a 1800 metri sul mare, d’inverno ci sono anche 50 gradi sotto zero. Tra clima e gap linguistico non c’è da stare allegri… «Ho fatto lì il mio primo concerto il 16 gennaio, in teatro c’erano 6 gradi sotto zero. La voglia di lavorare -45 minuti oltre l’orario previsto per l’orchestra, e nessuna lamentela, dove succede in Italia?- e la qualità dei musicisti mi hanno fatto sentire a casa. Per la lingua non c’è problema, l’agogica e le dinamiche musicali sono universalmente in italiano o, alla peggio in inglese. E poi usano il cirillico, non gli ideogrammi, sono un mix di "europeismo" e gentilezza asiatica». Che stagione offre il teatro dell’Opera? «Dodici opere all’anno e qualche balletto. Da settembre ne avrò una ogni 15 giorni a cominciare da "Madama Butterfly", con allestimenti di qualità. Se non avetemododi venire, trovate i video in Internet»!


Tibetani di Toronto contro il Nepal

Va in scena la protesta tibetana a Toronto dopo che il governo nepalese ha deciso di rimpatriare tre seguaci del Dalai Lama. Questo nonostante un preciso accordo tra il governo di Katmandù e le Nazioni Unite in cui il primo si impegna a garantire ai rifugiati tibetani un passaggio sicuro verso l’India. L’episodio incriminato risale a giugno, ma la sua conferma è arrivata solo in questi giorni. «È la prima volta dal 2003 che le autorità nepalesi consegnano a quelle cinesi persone che cercano di lasciare il Tibet - spiega Tenzin Wangkhang di Student for a free Tibet Canada - Allora si trattava di 18 persone, tra cui anche bambini». In questo caso si tratta di tre ragazzi di appena vent’anni - tra di loro anche un monaco e una donna - due dei quali sono subito finiti in cella una volta passato il confine. Nessuno di loro ha un passato da attivista, ma nonostante questo, una volta passata la linea che divide il Nepal dal Tibet, per loro finire in prigione può voler dire andare in contro a torture o a lavori forzati, dice la Wangkhang. «Oggi noi protestiamo perché il Nepal si attenga agli impegni presi, rispetti le leggi internazionali e quindi garantisca un passaggio sicuro ai tibetani che decidono di fuggire verso l’India». Tradotto in numeri si tratta di oltre mille persone ogni anno, che scappano in cerca di una nuova vita in India passando per Katmandù. Dopo sette anni, però, il Nepal ha deciso di tornare ai rimpatri forzati - «probabilmente a causa delle crescenti pressioni cinesi», spiega la Wangkhang - e quello che l’associazione teme e ieri davanti al consolato onorario nepalese di Toronto ha chiesto che non avvenisse, è che Katmandù continui su questa strada.

India: imboscata maoista ad agenti di polizia, molti morti

Circa 200 maoisti hanno teso oggi una imboscata ad un gruppo di 75 agenti della polizia paramilitare indiana nello Stato di centro-orientale di Chhattisgarh e secondo la tv «all news» Times Now «non si hanno notizie di 50 di loro». L'emittente precisa che lo scontro a fuoco è avvenuto nella densa giungla del distretto di Dantewada, una roccaforte dei maoisti, conosciuti in India come naxaliti, e che finora sono stati recuperati i cadaveri di sei agenti.

Emissario indiano nella capitale nepalese

L'India invierà un suo emissario a Kathmandu per aiutare il Nepal a uscire dalla crisi politica aggravata dall'assenza di un primo ministro. E' quanto dichiarato oggi dal ministro degli affari esteri indiano.
L'ex segretario agli affari esteri Shyam Saran, che fu anche ambasciatore indiano in Nepal arriverà già questa settimana nella capitale dello stato himalayano per aiutare a far avanzare le discussioni tra le differenti forze politiche che per il momento non trovano un accordo per eleggere il nuovo capo del governo.
"La situazione politica in Nepal è molto incerta e l'India vuole aiutare a risolvere il problema" ha dichiarato un membro del ministero degli affari esteri che ha voluto rimanere anonimo.
Il parlamento nepalese si riunirà nuovamente venerdì, dopo aver per tre volte fallito l'elezione del primo ministro.

martedì 3 agosto 2010

Nepal: continua la crisi politica

A un mese dalla caduta del governo, continua la crisi politica nella giovane repubblica del Nepal. Per la terza
volta in due settimane, il parlamento provvisorio non è riuscito ieri a eleggere un primo ministro a causa delle forti divisioni tra i partiti politici. Il nuovo voto è ora fissato per venerdì. Il candidato favorito, il capo degli ex ribelli maoisti e ex premier Pushpa Kamal Dahal, detto Prachanda, non ha ottenuto la maggioranza dei voti per via dell'astensione in blocco del partito comunista e dell'alleanza dei partiti «madhesi», che rappresentano
le popolazioni della pianura meridionale del Terai. Stesso risultato negativo per il suo unico rivale, Ram Chandra Poudel, del Congresso Nepalese, tradizionale partito dell'establishment politico nepalese.
L'aspirante primo ministro ha bisogno per essere eletto della maggioranza dei 601 seggi dell'assemblea legislativa provvisoria, eletta due anni fa dopo il rovesciamento della monarchia e la detronizzazione di re Gyanendra. Ma nessuno dei «big three», i tre partiti principali (maoisti, comunisti e Congresso), ha i numeri
sufficienti per vincere. A fare da ago della bilancia sono quindi i partiti minori del Terai, che non hanno mai avuto partecipazione politica, ma che ideologicamente sono più vicini agli ex ribelli. Ma finora tutti i tentativi per formare un'intesa di governo sono caduti nel vuoto. A chiedere le dimissioni a fine giugno dell'ex premier Madhav Kumar Nepal, a capo di una coalizione di 22 partiti durata poco più di un anno, era stata l'opposizione maoista, che minacciava una nuova rivolta popolare dopo il fallimento del varo della nuova costituzione entro la scadenza del 28 maggio - ora il termine è stato prorogato di un anno.
Secondo alcuni analisti, lo stallo potrebbe favorire i sostenitori della monarchia, che sono ancora numerosi, e anche l'esercito, rimasto in una situazione di «limbo» sotto il controllo degli osservatori delle Nazioni Unite.
Proprio oggi l'Esercito di Liberazione del Popolo (PLA), la milizia che fa capo al partito maoista, ha annunciato una nuova campagna di reclutamento simile a quella annunciata ieri dall'esercito nepalese e considerata una violazione agli accordi di pace.

lunedì 2 agosto 2010

Nepal ancora senza primo ministro

Il terzo turno di votazioni che dovevano eleggere il nuovo primo ministro nepalese non ha dato nessun esito. Sia Pushpa Kamal Dahal (Prachanda) sia Chandra Poudel non hanno ottenuto il numero sufficiente di voti che gli avrebbero assicurato la vittoria. Il voto è stato ritardato di molte ore. Prachanda ha ottenuto 259 voti alcuni in più rispetto alle due votazioni precedenti, ottenendo qualche voto da piccoli partiti ma comunque non sufficienti per raggiungere la maggioranza.




Nepal: oggi forse elezione primo ministro

E' atteso per oggi il risultato della terza sessione del parlamento nepalese che deve eleggere il Primo ministro.
A circa due mesi dalle dimissioni del premier Madhav Kumar Nepal, continua la crisi politica in Nepal. Lo scorso luglio i membri del parlamento non sono riusciti a eleggere un nuovo Primo ministro a causa delle divergenze presenti tra i vari partiti. Nessuno dei tre candidati proposti, tra cui l’ex premier maoista Prachanda, ha raggiunto il numero di consensi necessario per formare un governo di coalizione. La nuova votazione è prevista per oggi 2 agosto, ma è alto il rischio di un altro fallimento.

L’attuale stallo politico ed economico è dovuto alle continue frizioni tra l’Alleanza dei sette partiti, presente già al tempo della monarchia, e i maoisti, che nel 2008 hanno vinto le elezioni per l’assemblea costituente. Alla base della diatriba vi è il reintegro degli ex guerriglieri maoisti all’interno dell’esercito. Il leader maoista Prachanda, eletto primo ministro, ha infatti rassegnato le dimissioni nel maggio 2009 dopo il rifiuto del presidente Ram Baran Yadav al reintegro dei guerriglieri. Passati all’opposizione, i maoisti hanno continuato a destabilizzare il Paese attraverso scioperi e proteste, che lo scorso 30 giugno hanno costretto alle dimissioni il Primo ministro ad interim Madhav Kumar Nepal.
Al momento sono tre i partiti che possono presentare un candidato: Nepali Congress (NC), United Marxist-Leninist (UML) e Unified Communist Party of Nepal-Maoist (UCPN-M). Nessuno di loro possiede però i seggi necessari per formare da solo un governo in grado di prendere decisioni e i leader dei partiti minori non sono disposti a concedere voti agli avversari e ieri hanno votato in massa scheda bianca.
La crisi politica di questi mesi sta portando il Nepal verso la bancarotta e il rischio di una guerra civile. L’inesistenza di un governo blocca il varo del nuovo budget statale da oltre 1 miliardo di euro e gli aiuti dell’Onu, che fanno funzionare ospedali e scuole. Altro problema sono i 19mila guerriglieri maoisti ancora in armi confinati nei campi di addestramento, che aumentano il rischio di un nuovo conflitto armato nel Paese.

domenica 1 agosto 2010

Progetti faraonici al confine con il Tibet

Pubblichiamo un articolo apparso sul sito online de Il Corriere della Sera dedicato al progetto di costruzione di un tunnel sotto il Passo di Rothang. Un lavoro che permetterebbe la fine dell'isolamento invernale per la popolazione che vive in queste zone. Ma non solo, dietro al progetto vi è anche il tentativo dell'India (i lavori sono già iniziati) di confermare la propria potenza agli occhi della Cina

Nepal: sempre più povertà

Trattative policentriche per raggiungere un accordo che consenta, il 2 agosto, di dare un governo al Paese. Tutti sono per un esecutivo d’unità nazionale, comprese le ambasciate indiane e americane, che stanno svolgendo un impropria attività politica, ma non c’è accordo sulla leadership. Congresso e Maoisti permangono divisi ed è iniziato un forsennato corteggiamento ai partiti Madhesi (United Democratic Madhesi Front (UDMF) che vogliono l’autonomia della parte meridionale del Nepal, il Terai. Ipotesi attuale: che gli 82 deputati autonomisti votino il candidato maoista, il governo avrebbe la maggioranza ma il paese si spaccherebbe sia a livello politico che etnico. Nel Terai la maggioranza degli abitanti, composta da altri gruppi etnici chiederebbe una miriadi di entità autonome (Limbu, Tharu, Kiranti, etc.) e inizierebbero casini senza fine.
Straziante instabilità che perdura da quattro anni(nei precedenti 12 il paese era in conflitto civile). Possiamo immaginare le condizioni delle istituzioni e dell’economia già descritta in altri post. Di fatto il governo controlla a stento gran parte del paese, specie la cintura meridionale (Terai) ai confini con l’India. Oltre i problemi di sicurezza sociale, di applicazione delle leggi, un governo inesistente non riesce a dare vigore a politiche sociali, di riduzione della povertà. Di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Nei giorni scorsi il Primo Ministro dimissionario Nepal s’è recato a celebrare il centenario del più antico ospedale nepalese, il Bir Hospital, ospitato in un fatiscente palazzo Rana nel centro di Kathmandu. Nei giardini ormai svaniti languono decine di persone in attesa di un posto letto, altre chiedono soldi per comprare le medicine o pagarsi qualche cura. Nei villaggi è ancora peggio perché gli ospedali magari distano chilometri a piedi e gli Health Post non hanno niente, compresi i medici. Nel discorso il Primo Ministro ha fatto autocritica per le morti di diarrea dello scorso anno, ma il problema permane con l’inizio d’epidemie a Rukum, Nepalgunj, Baglung. Niente di nuovo sono millenni che questo accade.
Eppure, malgrado le scarse capacità di gestione generale dello stato nepalese, i donatori internazionali hanno raddoppiato, nell’ultimo anno, “grant and loan” al paese, gettando nel calderone la cifra record di 1 miliardo di euro (riferisce il Foreign Aid Department del Ministero delle Finanze). Questi fondi sono stati utilizzati al 86% per coprire le spese correnti del governo (27,45% dell’intero budget statale), pochi e solo nominali per sviluppare il paese sistema sanitario, infrastrutture, agricoltura, gestione delle acque, educazione, etc.). Infatti qualcuno si domanda che fine hanno fatto questi fondi data l’estrema fragilità dello stato. “Nepal has been unable to utilise foreign aid in the past few years” ha dichiarato Posh Raj Pandey che era membro della Commissione (Nepal Planning Commission-NPC) incaricata di programmare l’utilizzo degli aiuti internazionali. Quindi, se lo dice lui…
La domanda che si pongono in molti è: questo immenso flusso di denaro ha prodotto, grazie ai gestori locali e internazionali, significativi miglioramenti per la gente comune. Cioè, in sintesi, è diminuita la povertà causa di decine di danni collaterali (malattie, migrazione, emarginazione sociale, traffico di esseri umani, bassa scolarità, etc.). Risulterebbe di no anche se la sua quantificazione, come tante cose nella cooperazione internazionale, è fumosa. La Nepal Planning Commission tira acqua al suo mulino e dichiara che la “poverty has reduced considerably from 20034 level”, cioè loro hanno lavorato bene. A livello quantitativo hanno ragione, il reddito pro-capite è aumentato, ma se per comprare una carota costa il doppio di cinque anni fa il reddito reale s’è, in realtà, dimezzato. Ed è quello che è accaduto in Nepal (come in altri paesi poveri). Si stima che l’1% d’aumento dei prezzi dei generi alimentari (e in Nepal sono raddoppiati negli utlimi 5 anni) produce un aumento del 1,6% dei poveri fra i gruppi marginali. Tant’è che anche la World Bank ha aumentato il limite minimo della soglia di povertà portandolo da USD 1 a USD 1,5 al giorno.
Qualcuno (Oxford University) ha cercato di quantificare i trend di povertà utilizzando sistemi un po’ più raffinati (multidimensional approach) che prevedono la valutazione di una serie di indici (sanità, accesso all’acqua, proprietà, elettricità, etc). Queste stime dicono che la povertà non è affatto diminuita ma riguarda fra il 50 e il 60% dei nepalesi (indici Word Bank 55%-indici NPC 26%). Insomma butta male e si vede anche perché nessuno ha governato flussi e processi. Per esempio le rimesse degli emigranti (30% del PIL) hanno prodotto enormi diseguaglianze fra le persone e le aree urbane e rurali. Un recente rapporto della Banca Centrale nepalese racconta una realtà già vista. I soldi dei migranti finiscono, in buona parte, ai ricchi dei villaggi per pagare prestiti e mantenimento delle famiglie lasciate lì. I money lenders li investono nelle proprietà immobiliare di Kathmandu o di altri centri urbani. L’unica industria che tira. Governanti e cooperatori internazionali (che in Nepal, come in altri paesi poveri detengono grande potere) hanno fatto rendere poco i miliardi di euro (le nostre tasse) investiti nel paese. Non sorprende che la gente comune li consideri entrambi (politici e cooperanti) dei malfattori.