giovedì 8 aprile 2010

Quegli Svizzeri a cui non piace il Dalai Lama


"Parlare di genocidio culturale in Tibet è proprio una gran cretinata!" L'affermazione lapidaria è di Christoph Müller, fondatore e proprietario dell'agenzia di viaggi Hiddenchina.net, insediata a Pechino da sette anni.

Pur essendoci stato una sola volta, il giovane imprenditore svizzero tedesco assicura di conoscere bene il Tibet. Vi organizza dei viaggi individualizzati e sostiene che la regione sta bene grazie al potente sostegno di Pechino, nel rispetto delle tradizioni tibetane.

"Tutto è scritto in due lingue, mandarino e tibetano. Le nuove costruzioni devono essere ispirate all'architettura locale. Le infrastrutture si sviluppano a grande velocità. La sedentarizzazione permette alle popolazioni nomadi di migliorare la vita quotidiana: acqua corrente, bagno, riscaldamento…"


Christoph Müller
Christoph Müller (swissinfo)
I rimproveri di "sinizzazione" galoppante sarebbero fasulli. "La popolazione tibetana rappresenta fra il 93 e il 95% dell'insieme", aggiunge Christoph Müller. (La statistica ufficiale cinese parla del 92%, mentre altre fonti indicano una presenza cinese ben più massiccia. Taluni dicono persino che c'è una maggioranza di cinesi han).

Molti immigrati han sono in Tibet per compiere lavori subalterni e poco gratificanti che i tibetani accettano difficilmente, argomenta l'operatore di viaggi. Quanto alla religione, Müller riconosce che numerosi tibetani si sentono un po' "imbavagliati", ma che ciò non impedisce loro di apprezzare la presenza cinese. Tanto più che la maggioranza "vive meglio per esempio degli abitanti delle periferie di Pechino".

Per farla corta, stando a Müller, l'occidente è "vittima della propaganda del Dalai Lama, diffusa dai media. Le informazioni che vengono dalla Cina sono nettamente più affidabili". Riguardo al Dalai Lama, "i suoi premi per la pace e per l'ecologia sono usurpati".


Una persona formidabile

"Il Dalai Lama è un tipo formidabile, un compagno di karma", replica un cinese fervente buddista, che pure si considera un esperto del Tibet, dove è stato cinque volte. Conoscitore di lingue e culture occidentali, questo quarantenne – di cui manterremo l'anonimato – vive, lavora e pratica la sua religione a Pechino.

La Cina riconosce la libertà religiosa a tutti i suoi cittadini. Almeno in teoria. "Quando non si è veramente religiosi si pensa di essere liberi. Ma quando si è religiosi ci si accorge che ci sono molti limiti. A volte devo fare attenzione. Per esempio, alle preghiere collettive se siamo più di cinque o sei, c'è il rischio che intervenga la polizia", spiega l'uomo, che racconta di avere in casa immagini e scritti del Dalai Lama.

"Il problema del Tibet non è il Dalai Lama. È l'assenza di autonomia. Tutte le decisioni sono prese dai cinesi. È la legge del più forte. Qualsiasi attività religiosa è sottoposta a previa autorizzazione. È normale in una dittatura come è sempre stata la Cina", afferma.

E che dire del preteso genocidio culturale? "Era vero durante la rivoluzione culturale. E la Cina lo ha riconosciuto. Da dieci-quindici anni la situazione è un po' migliorata. I religiosi hanno più libertà. È stata ricostruita una parte dei monasteri. Ma non è come prima: i tibetani hanno una libertà limitata".


Evoluzione delle usanze

"Penso che la libertà di religione sia rispettata in Tibet allo stesso modo che in tutta la Cina", commenta Ivan Salamin, un vallesano che dirige la filiale cinese di Alcan. "Non credo che ci sia la minima traccia di genocidio culturale. Tutto è valorizzato: la cultura, i templi; c'è una vera volontà di preservare. Certo, c'è un modo di vita che cambia. Ma ciò non è legato all'oppressione di un governo, bensì all'evoluzione dei costumi nelle popolazioni", rincara la moglie Catherine Salamin.

Giunta in Cina tre anni fa, la coppia nel 2008 ha compiuto un viaggio attraverso il Tibet. "Il turista si trasforma in un pellegrino alla ricerca dell'assoluto", si legge sull'album fotografico dei coniugi vallesani.

I due svizzeri ricordano che al momento in cui lasciarono l'occidente per installarsi in Cina erano pieni di pregiudizi. "Ma al contatto con il paese, ci si rende conto a poco a poco di come tutto fosse sbagliato", raccontano.

Lo stesso succede ai turisti, aggiunge Christoph Müller. "Tutti coloro che vengono in Cina per la prima volta sono sorpresi in bene. I pregiudizi sono enormi". Da ciò ad affermare che il Dalai Lama sfrutta questi pregiudizi per tirare acqua al suo mulino, c'è solo un passo. Numerosi svizzeri in Cina lo compiono, a torto o a ragione.

Alain Arnaud, Pechino, swissinfo.ch
(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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